Pozzuolo del Friuli 29 - 30
ottobre 1917
Copia della relazione presentata dal
Colonnello Campari Carlo - Comandante il Reggimento Lancieri di Novara,
alla Commissione di interrogatorio dei prigionieri di guerra rimpatriati
quali invalidi e rispondente al formulario posto da detta Commissione
presieduta da S.E. il Tenente Generale Zuccari. |
La II° Brigata di Cavalleria aveva ricevuto il 29
Ottobre 1917 la missione di occupare Pozzuolo del Friuli e di difendere
quella località sino a tutto il 30, dall'invasione nemica e proteggere la
ritirata delle truppe che pel ponte della Delizia ripiegavano sulla destra
del Tagliamento.
Nel pomeriggio del 29, verso le le ore 15, doppo opportuna esplorazione,
perchè in paese erano stati avvistati nemici la Brigata entrò a Pozzuolo.
Il Comandante la Brigata assegnò la difesa di metà del paese al Reggimento
Genova e di metà al Reggimento Novara; diede l'ordine di asseragliarsi e di
spingere ricognizioni della forza di un plotone ciascuno: Novara su Pasian
di Prato, Campoformido e Pasian Schiavonesco, guardando le provenienze di
Carpeneto di S.Maria di Sclaunicco Mortegliano.
Fu assegnato lo sbocco verso Carpeneto al I° Squadrone e Squadrone
Mitraglieri verso S.Maria di Sclaunicco al 4° squadrone e verso Mortegliano
al 5° Squadrone. Il Reggimento non aveva che questi 3 Squadroni perchè il 3°
era colla 36^ Divisione di Fanteria , ed il 2° in causa della malaria era
ridotto a 20 disponibili combattenti, che per mio ordine erano stati
assegnati per scorta allo squadrone mitraglieri, ma di poi 12 Lancieri
furono inviati su richiesta al Comando della 1^ Divisione di Cavalleria e ne
rimasero solo 8; il rimanente Squadrone cioè cavalli erano riuniti col
carreggio a Lestizza, dove erano rimasti un uomo per ogni 3 o 4 cavalli.
Sull'imbrunire del 29 cominciò a segnalarsi l'avvicinarsi del nemico, da
prima in pattuglie, poi compagnie con mitragliatrici le aprirono e risposero
al fuoco dei nostri a larghi intervalli; nella notte il numero dei reparti
nemici andò aumentando.
I plotoni inviati in esplorazione disimpegnarono bene il loro servizio e
segnalarono ripetutamente l'avanzare del nemico; nell'esplicare il loro
mandato ebbero vicende varie e piccoli scontri; il plotone del I° Squadrone
dovette combattere a piedi per togliersi da un'imboscata che il nemico gli
aveva teso a Campoformido, ove nella chiesa già aveva rinchiuso delle truppe
di fanteria nostre prigioniere.
Il fuoco da ambo le parti, lento nella notte, si fece sul mattino più
intenso a zone e numerose mitragliatrici furono dal nemico portate in linea;
poi aprì il fuoco anche con Artiglieria. Verso le 12 vi fu un attacco al
paese, alcuni reparti nemici vennero all'assalto, ma furono respinti.
Gli Squadroni di Novara erano tutti impegnati
nella difesa, ma ogni Squadrone non disponeva al fuoco che di circa 60
moschetti. La mancanza di uomini era dovuta alla malaria che aveva decimato
gli Squadroni, mentre i Complementi che avrebbero dovuto raggiungerci il 27
ne erano stati impediti.
Una Brigata di fanteria (25° 26°, Col. Brigadiere Balbi) giunge verso le ore
11 del 30 a Pozzuolo, dovrebbe avanzare verso Zugliano, appena uscito da
Pozzuolo però si arresta, in parte prende posizione a nord ovest del paese,
ma pochi elementi rimangono poi sulla linea del fuoco mentre il resto
ripiega in paese, dietro i nostri Squadroni, nelle case e nei cortili.
Verso le ore 13 l'attacco nemico si fa più intenso e viene rinnovato
l'assalto, ma ancora inutilmente sulle difese di Novara, mentre verso
Sammardecchia dove sono le difese di Genova, già si battono per contrastare
le barricate. Il Comandante la Brigata ordina che uno Squadrone di Novara
monti a cavallo per caricare il nemico onde alleggerirne la pressione.
Il 4° Squadrone, da me destinato,
(sostituito alle barricate da una Sez mitragliatrici di fanteria che era di
riserva in paese, e che il Generale Emo ottiene dal Comandante la Brigata di
fanteria) monta a cavallo e carica in modo ammirevole e successivamente
diversi reparti di fanteria nemica.
I superstiti si danno alla fuga e lo
Squadrone viene così a compiere un mezzo giro intorno al paese e rientra per
lo sbocco verso Mortegliano.
La carica ottiene l'effetto di una mezz'ora
di sosta nel combattimento ed il Comandante la Brigata ne approffitta per
inviare la Comando della VII^ Divisione, a S.Maria di Sclaunicco,
informazioni sulla situazione ormai assai critica.
Il 4° Squadrone riceve l'ordine di ritornare alle barricate, fa un rapido
controllo da cui risulta che molti cavalli sono feriti e che mancano pochi
uomini, mentre il nemico ha avuto molte perdite che furono distintamente
apprezzate dalle nostre truppe della difesa che entusiasticamente hanno
assistito alle cariche condotte con mirabile ordine e slancio.
Nuove fanterie e nuove mitragliatrici intanto spraggiungono di rinforzo al
nemico. Verso Sammardecchia, Genova viene respinto dalla barricata da forze
preponderanti le quali dopo assalti alla baionetta e lotte a corpo a corpo
si infiltrano in paese. La situazione dei miei Squadroni si va facendo
sempre più grave, il combattimento a piedi degli Squadroni è stato
ininterrotto dall'alaba in poi, con parecchi contrattacchi, lecartucce della
dotazione sono state esaurite da tempo, ma fortunatamente ho potuto dare un
rifornimmento per alcune casse di cartucce rinvenute sotto un porticato, ma
anche queste stanno per finire e lo Squadrone mitraglieri non ha più che
pochi caricatori. Il Generale di Fanteria ed alcuni Ufficiali di quella
Brigata energicamente intervengono per tentare di portare le fanterie alla
difesa, ma sono impotenti davanti alla resistenza passiva della massa e solo
pochi uomini ed alcune mitargliatrici entrano in combattimento.
Verso le 16.30 l'intensificare del fuoco di mitragliatrici e di artiglieria
segnala per prossimo un altro attacco generale. Il Comandante la Brigata di
Cavalleria nell'allontanarsi dalla piazza in direzione delle difese di
Genova mi manda l'ordine di far rinnovare le cariche al 4° Squadrone. Invio
un ciclista al 4° che subito è in sella, ed io pure decido di montare a
cavallo col mio Stato Maggiore e Pattuglia telefonisti pronto a recarmi alla
testa di questo drappello dove avessi ritenuto essere utile anche questo
piccolo rinforzo, certo più efficace nel suo intervento a cavallo. Alcuni
nemici già sbucano in piazza del paese.
Mi giunge avviso che lo Squadrone di Genova che guerniva la barricata verso
Lavariano è montato a cavallo ed uscito alla carica, in pari tempo so che il
I° Squadrone di Novara, esaurite le munizioni, si è slanciato alla
baionetta, al contrattacco, ed il 5° Squadrone che opportunamente aveva già
fatto parecchie sortite per allontanare il nemico, sta per dover fare
altrettanto. Mi sposto verso il 5° Squadrone e mentre invio l'ordine a
questo di lasciare immediatamente la barricata e di montare a cavallo
provvedo col mio drappello a prevenire sorprese di dove Genova ha tolto la
difesa.
In pochissimi minuti lo Squadrone è in sella. Il tiro nemico continua ad
infuriare, e le grida di assalto ed il suon di trombe ed il tiro di
artiglieria sono al colmo. Il nemico avanza credendo venire alla baionetta
contro gli appiedati del 5° Squadrone. Mi pongo alla testa del 5° Squadrone
e attarverso le barricate, mi slancio sul nemico che avanzando è giunto a
pochi metri da queste. La carica ha facilmente ragione delle prime truppe
sbucate sulla strada e che venivano all'assalto sulla barricata, ma in pari
tempo da numerose mitragliatrici nemiche appostate sulla nostra sinistra,
dietro a filari di viti, ed a feritoie del muro di cinta del Cimitero, viene
concentrato un violentissimo fuoco sopra di noi. Giudico subito impossibile
per la natura del terreno e pel fil di ferro, il volgere la mia carica su di
quelle e decido per sottrarmi al fuoco di continuare in carriera per la
strada. Però non appena mi credo fuori tiro ed il terreno consente mi getto
in un campo vicinore e fatto nuovamente fronte a Pozzuolo faccio riordinare
lo Squadrone. Le perdite sono state relativamente poche, il fitto del
grandinare delle palle era passato distintamente sopra le nostre teste.
Mentre mi accingo a ritornare, attraverso campi, verso Pozzuolo vengo fatto
segno a tiro vicino di artiglieria e di una mitragliatrice, i fanti vengono
caricati, la mitragliatrice resta invisibile. I numerosi fossi, profondi e
malagevoli al salto ed al passaggio, per terreno melmoso per le continue
piogge, mi costringono a deviare parecchie volte, e mi portano sulla strada
Lavariano-Mortegliano. Mentre dal campo passo sulla strada, due
mitragliatrici piazzate distintamente sotto un portico di un cascinale
aprono il fuoco addosso a poche diecine di passi. Nuova carica su quelle,
rovesciamento di materiale con fuggi fuggi dei superstiti nemici. Ordino la
radunata e mentre mi avvio alla strada mi viene aperto il fuoco
contemporaneamente e dalla parte di Mortegliano e dalla parte Lavariano, un
nostro soldato di fanteria che giaceva ferito ed accovacciato sul margine
della strada, da me interrogato, dice che Mortegliano è occupato dai nemici.
Preso tra due fuochi comprendo di essere capitato in un intervallo di una
colonna nemica, e decido per Mortegliano di portarmi a S.Maria di Sclaunicco
dove avrebbero dovuto essere il Comando della VII^ Divisione. Il 5°
Squadrone nella radunata dopo la carica alle mitragliatrici, nel passare la
strada, mi aveva, in parte, oltrepassato e conosciuto il mio ordine di
marciare su Mortegliano, attratto dal fuoco nemico già aveva ripreso la
carica; Mortegliano in quel momento era invece ancora occupato dai nostri, i
nemici avevano quasi accerchiato il paese e stavano in quella svolgendo un
attacco per impadronirsene.
Io oramai impossibilitato dato l'andatura, la strada, il terreno, a
riportarmi alla testa dello Squadrone, ne seguo la carica. Viene sfondato il
passaggio su Mortegliano attraverso le truppe nemiche ed in piena carriera
si entra in paese. Le prime truppe italiane di fanteria che erano alla
difesa del paese, ed in paese stesso si vedono arrivare quest'ondata
violenta di Cavalleria, non riconoscono la nazionalità e ci rovesciano
addosso un fuoco a bruciapelo di pistole mitragliatrici e fucileria. La
strada è sgombra ed il Capitano Scozia comandante il V° Squadrone, o perchè
non riconosce l'errore dei fanti o perchè vuol sottrarsi al fuoco continua
in carriera svoltando per S.Maria di Sclaunicco. Io, che dall'ingresso in
paese, allargandosi la strada, sto guadagnando terreno, riconosco le
fanterie nostre e lancio il grido: "Italia" grido che viene ripetuto dalla
colonna; il fuoco dei nostri su di noi gradatamente cessa ma parecchi
lancieri e cavalli sono caduti. Nel saltare un groviglio di questi il mio
cavallo fa un mezzo ruzzolone così da toccar terra con la testa e coi
ginocchi, ma si riprende ed io rimango in sella, basta questo tempo perchè
la truppa, che mi segue in carriera, mi sorpassi, oltrepassi il ponte sul
Cormor e scompaia nella via avvolto dal fuoco concentrato di fucileria e
mitragliatrici nostre e nemiche.
La massa ha nuovamente sfondato, ma sarebbe impossibile e puerile voler da
solo, ormai, attraversare quella zona. Vedo alcuni Ufficiali dei bersaglieri
in un portone, mi indicano il loro colonnello (del 21°) e mentre il tiro a
raffiche di mitragliatrici batte la strada, dalle case mi si grida di
sgomberare, riparo in un cortile, salto a terra, consegno il cavallo al
trombettiere che giunge correndo dopo aver ruzzolato col cavallo,
riattraverso la strada e mi reco dal colonnello dei bersaglieri per avere
informazioni sulla situazione e decidere il da farsi per raggiungere i miei.
Il colonnello dice che da parecchio tempo stanno combattendo e che in questo
momento si va accentuando un attacco perlochè non ritiene possibile l'uscir
dal paese, e si allontana dicendomi che fra poco tornerà a ragguagliarmi
sulla situazione.
Io penso di aspettare che si faccia più buio per poi tentare l'uscita dal
paese in qualche modo, e rimango sotto il porticato della casa dove avevo
parlato col colonnello, e che è adibito a posto di medicazione.
In questo momento giungono a piedi il Tenente Carlo Basile ed il Maresciallo
Zappatore Coda, contusi in seguito a caduta per la morte del rispettivo
cavallo, edi Maresciallo Longari del 5° Sq. con tre pallottole in un
braccio; vedo pure a piedi il Cappellano del reggimento Don Prosocco, ma
subito si allontana per andare alla ricerca di nostri feriti.
Mentre mi accingo a riattrevarsare la strada per raggiungere i cavalli, il
fuoco nemico si fa più violento, con artiglieria e mitargliatrici, e mentre
un temporalone denso e nero ci avvolge improvvisamente nel buio si scatena
l'assalto nemico, travolge la difesa del ponte e come una valanga invade il
paese sparando e lanciando bombe a mano, e plotoni e compagnie irrompono
nelle case. nel sottoportico dove mi trovo, si rifugiano alcuni bersaglieri
e si continua a sparare sinchè una bomba a mano lanciata sul portone fa
largo all'ingresso costringendoci a retrocedere in una camera vicino, ma
subito un forte nucleo di nemici urlando e sparando invade anche questa, e
forti per armi e per numero rendono vana ogni difesa, e ci dichiarano
prigionieri.
Non vi sono che 4 o 5 bersaglieri feriti e
doloranti, il Cappellano dei bersaglieri che presta i conforti religiosi ad
un agonizzante, i due marescialli, il trombettiere, il Tenente Basile ed io.
Poco dopo, sulla strada si vede e si apprende con quali forze è stato fatto
l'attacco di Mortegliano, il nemico vi ha impiegati 7 Battaglioni con
mitragliatrici, un Battaglione d'assalto con bombe a mano ed artiglieria
imprecisata.
Il Reggimento in unione al Reggimento Genova ha quindi contrastato il
passaggio per Pozzuolo del Friuli fino all'imbrunire del 30, cioè insino a
che vi furono cartucce e forze in mano ai comandanti, perchè come sopra
detto i tre Squadroni disponevano ognuno di 70 lancieri circa, ed il logorio
di uomini fu continuo per tutto il 30.
Il contegno dei reparti in combattimento fu sotto ogni rapporto degno di
elogio. Ogni ufficiale, ogni Lanciere cercava moltiplicarsi per rendere
maggiormente efficace la sua opera, lo spirito aggressivo era generale, il
contegno era da fidi e valorosi soldati, ed era così di tutti.
La 1^ carica compiuta dal 4° Squadrone al Comando del Capitano Sezanne
riscosse grida di ammirazione da parte delle nostre fanterie che vi
assistevano, ed il capitano nel guidare le cariche fu ardito e calmo
ricercando successivamente vari obbiettivi. Valoroso fu pure il 1° Squadrone
al comando del Capitano Capasso e poi del Tenente De Bartolomeis nei
ripetuti attacchi alla baionetta contro forze preponderanti; ed il 5°
Squadrone al Comando del Capitano Scozia nella difesa del suo Settore, ed il
Capitano Bacci col fermo impiego dello Squadrone mitraglieri.
Individualmente poi segnalo l'atto di valore del Cappellano Prosocco il
quale di sua iniziativa montò a cavallo ed uscì di Pozzuolo per la strada di
Carpeneto con un carro che requisì sul posto, percorrendo la strada sotto il
fuoco nemico per rintracciare un Colonnello di fanteria gravemente ferito
che era stato segnalato dalle nostre pattuglie. Caricò sul carro il ferito e
lentamente accompagnandolo stava per rientrare in Pozzuolo quando sorpreso
da forte nucleo di nemici dovette sottrarsi al loro fuoco ed alla cattura
colla velocità del suo cavallo.
Spiccatamente ardito fu il trombettiere Mabellini Pietro nell'azione a
cavallo tra Pozzuolo e Mortegliano; egli per ben due volte vedendo il
Colonnello sottoscritto impegnato nella carica sulle mitragliatrici e fatto
segno in pari tempo a fuoco di gruppi nemici, da solo si slanciava sui
nemici stessi, ed il suo valore ebbe ragione sui molti che in parte
atterrava ed in parte fugava sciabolando e sparando la pistola con alternata
foga.
Le perdite del reparto non mi fu dato precisarle neppure in modo
approssimativo. Io mi ritrovai miracolosamente illeso anche dopo il fuoco a
bruciapelo dei nostri e così illeso fui catturato.
Non mi furono sottratti documenti di sorta; dopo la cattura, nel buio
distrussi gli ordini e le carte di servizio che avevo con me.
Appena, dopo la cattura, ebbi l'occasione di dichiarare la mia qualità di
Ufficiale e di Colonnello ebbi trattamento speciale personale sempre
deferente, ed in special modo da chi veniva a sapere che ero il Comandante
dei Lancieri di Novara, a Cormons un aiutante di Campo di un generale mi
disse, in buon italiano, "Voi, Cavalleria, avete combattuto molto bene ma
inutilmente, mi compiaccio con lei Colonnello; noi non ci si immaginava mai
la ritirata vostra al Tagliamento e si calcolava di dovere impiegare 4
settimane per arrivare a Cividale."
L'unico interrogatorio subito fu a Ipplis dove fui richiesto a che
Reggimento appartenevo e dove ero stato catturato ed alla mia dichiarazione
che non avevo nulla da aggiungere a quei dati di Reggimento e località non
ebbi altre richieste. Non fui perquisito.
A Mortegliano fui incolonnato cogli Ufficiali del 38° e 240° Fanteria,
dietro veniva la truppa degli stessi Reggimenti. Si marciò sino verso le 23
e si pernottò sui banchi della Scuola di Pavia di Udine. Si ripartì alle 9
del 31 e ci si fermò a sera al ponte sul Versa presso Cormons, ma essendosi
trovato il ponte distrutto si ebbe ricovero per la notte nei baraccamenti in
quei pressi, si riparti il 1° e si andò a Gorizia dove si pernottò, si
ripartì da Gorizia il 2 Novembre verso le 7 e dopo una diecina di Kilomteri
ci raggiunse un'automobile che aveva l'ordine di prendervi i tre Colonnelli
(Col. Silvestri del 38°, Col.Taddeini del 240°; ed io) e si andò in auto ad
Idria, di lì in auto sino alla stazione di Vert e quindi in treno sino a
Lubiana. A Lubiana si rimase il giorno 3 e 4, ed il 5 in treno (3^ classe)
si ripartì per Mauthausen passando per Gratz; si giunse a Mauthausen l'8
mattina. Dopo una disinfezione al corredo e bagno fui inviato al gruppo
baracche ufficiali e vi ebbi assegnata una camera da solo.
Le condizioni igienico sanitarie del gruppo vi erano buone, e tali si
mantennero sempre. La vita materiale era possibile, la razione viveri
assegnata dagli austriaci agli ufficiali era sufficiente per vivere,
tuttavia ho passato parecchie notti insonni per la fame.
Avendo sofferto subito, appena giunto a Mauthausen, e dipoi ripetutamente ed
a lungo per nevralgie e flussioni ai denti, passai i 5 mesi quasi sempre
nella mia camera, e dopo una ventina di giorni di vita vegetativa avendo
attutito il vivo del profondo dolore ed accasciamento morale passai le
giornate leggendo libri a caso così come mi era dato trovare presso gli
Ufficiali del campo.
La disciplina nel campo vi era conservata; trovai tanto gli Ufficiali che la
truppa molto rispettosi e deferenti.
Ebbi pochissime relazioni col Comando ed Ufficiali austriaci, avendo avuto
nel Novembre delle flussioni ai denti ed un accenno di bronchite il tenete
medico austriaco, da me fatto invitare, venne a visitarmi, ed avendogli
esposte le mie condizioni generali di salute, ed il desiderio di essere
sottoposto alla visita della Commissione medica per essere rimpatriato,
trovò che era un pò prematuro, ma finì coll'aderire. Dovetti attendere sino
ai primi di Gennaio, e venuta finalmente la Commissione medica di Linz dopo
la visita fui dichiarato invalido, il rimpatrio però fù rimandato insino al
26 Marzo perchè molti altri avevano titoli di precedenza o per gravità di
malattia o per visita anteriore.
La diagnosi in base alla quali ottenni il rimpatrio non la conobbi, io fui
specialmente visitato in relazione al forte catarro bronchiale che accusavo
e per il deperimento organico generale che mi veniva dal fatto di poter
mangiare poco anche di quel poco che mi si dava per il mal di denti.
Conobbi il Comandante austriaco del campo solamente ai primi di Marzo nel
giorno che venne il Nunzio Pontificio M.Valfrè a visitarci.
Non essendo mai uscito dal campo Ufficiali nulla so dire sulle condizioni
dei Gruppi Baracche di truppa se per non sentito dire dei patimenti di
freddo e di fame.
A Mortegliano credo effettivamnente vi fossero 7 Battaglioni ed il
Battaglione d'assalto che un cadetto austriaco, che ci diceva di odiare i
tedeschi e che parlottava italiano, ci dichiarò che avevano concorso
all'attacco.
Da Mortegliano a Pavia di Udine trovai il vuoto, non un soldato, non un
cenno di movimento alcuno, a Pavia di Udine il mattino del 31 vidi poche
truppe di fanteria, poi di nuovo il vuoto insino a Cormons dove erano invece
parecchi Reggimenti e molta Artiglieria.
Mi si disse, non vidi, che ad Ipplis vi erano due Squadroni austriaci. Dopo
Gorizia trovai forti agglomeramenti di truppe che si avviavano all'Isonzo.
debbo dire però che gli austriaci non ci fecero percorrere gl'itinerari più
brevi, ma dei percorsi che ogni Comandante di scorta aveva ricevuto per
tassativo in iscritto, evidentemente per non ingombrare dove erano le loro
truppe. Sulle condizioni interne dell'Austria non mi risulta che quanto
apprendevo dai giornali austriaci stessi, e dai commenti che ne venivano
fatti sui forti prezzi delle derrate.
L'Austria è certamente a corto di molte e molte materie di necessità,
alimentari e non, ma la popolazione ha un'educazione sociale assai
resistente, e coloro che non hanno resistenza in loro stessi temono il
gendarme e la forza; vi fu uno sciopero generale che serpeggiò nelle
principali città ma durò 24 o 48 ore, ma dai giornali mi parve rilevare che
la popolazione si accontentò di parole e promesse e nulla più.
Il Reggimento Lancieri di Novara dipendeva dal Generale Giorgio Emo
Capodilista Comandante la II^ Brigata di Cavalleria.
IL COLONNELLO |
|
già Comandante il Reggimento Lancieri di Novara |
|
Carlo Campari |
|
Monza 5 Aprile 1918 |
|
|
Pozzuolo del Friuli
Schizzo approssimativo 1:10.000 Leggenda
a - Comando di Brigata b - Comando Reggimento
c - 1° Squadrone d - Squadrone Mitragliatrici
e - 4° Squadrone f - 5° Squadrone = Regg.
Genova |
|
Mortegliano Schizzo approssimativo 1:10.000
Leggenda 1 - Luogo di caduta del cavallo 2 -
Cortile dove lasciai il cavallo 3 - Luogo dove fui
catturato |
Commissione di Interrogatorio dei prigionieri di
guerra in Roma - Seduta Antimeridiana del 10 Dicembre 1918, in Roma
743/I |
Presidenza: S.E.
CANEVA,
presenti: S.E. RAGNI, S.E. DE ORESTIS, On. Prof. STOPPANO
(La seduta è aperta alle ore 9.45)
E'introdotto il Colonnello CAMPARI CARLO, già comandante
del Reggimento Lancieri di "Novara" (5°) e attualmente Comandante del
Deposito del reggimento Montebello (Parma).
PRESIDENTE : " La Commissione sarà grata se Ella vorrà
esporre quanto crede utile per i fini dell'inchiesta, seguendo come trama
l'azione del suo Reggimento. Noi sappiamo che esso ha avuta una parte
gloriosa nella ritirata. V.S. è libera nella sua esposizione; tuttavia
sarà gradito conoscere le di Lei impressioni, come prigioniero, al campo
di concentramento e quanto altro Ella riterrà utile alla Commissione a
tale riguardo.
CAMPARI: " Il 25 Ottobre 1917 il Reggimento si trovava ad
Oderzo e si accingeva a rientrare in sede invernale. Nella notte invece si
ebbe l'ordine di recarsi ad Azzano Decimo, ordine comunicato senza
spiegazione. Giungemmo ad Azzano Decimo, ma anche lì non avemmo nessuna
spiegazione. Però in paese si parlava di azioni non fortunate sulla nostra
fronte.
Il 26 a mezzogiorno ricevemmo l'ordine di portarci a
Lestizza. Alle 13 il reggimento era in sella e si incamminava.
Al Ponte della Delizia cominciammo a vedere un grande
agglomeramento di truppe e di carreggi, e cominciammo a comprendere il
perchè del nostro richiamo. Ebbi subito occasione di vedere che il ponte
avrebbe potuto essere oggetto di maggiori cure. Ebbi a investire un
maggiore dei carabinieri poichè vidi 7 o 8 zappatori che lavoravano
troppo comodamente, mentre il ponte traballava. Giungemmo a Lestizza, dati
gli impedimenti trovati lungo la strada, verso le 19 del giorno 27. Subito
dopo ebbi l'ordine di mandare due squadroni verso S. Maria La Longa per
impedire infiltrazioni di pattuglie nemiche lungo la linea Ferroviaria.
Verso le 3 ricevetti l'ordine di raggiungere per le 7 del mattino
successivo, Trevignano Udinese, dove si sarebbe trovata tutta la Brigata
di Cavalleria; e qualora non avessi trovato impedimenti, di spingermi
verso Dolognano, S.Giovanni di Manzano e Villa Nuova Judrio.
Partiamo nella notte. Già da due giorni pioveva a dirotto.
Alle 7 precise giungemmo a Trevignano Udinese. Cercai il Comandante della
Brigata, ma esso non c'era ancora: neppure il Reggimento Genova era
presente. Dopo aver aspettato 10 o 15 minuti, decisi di proseguire per
Dolegnano. Stavo per incamminarmi quando giunse il Colonnello PIRZIO
BIROLI, addetto al Comando della 3^ Armata, il quale mi ordinò anzichè di
riprendere la marcia verso Dolegnano, di rimanere a Trevignano Udinese,
resistendo a tutta oltranza, perchè noi rappresentavamo l'ala sinistra
della 3^ Armata e dovevamo per tanto impedire che elementi della 2^ Armata
la quale, a quanto si diceva, era in grande ritirata, potessero
appoggiarsi verso la 3^ , e portare del disordine.
Nel paese non passavano truppe. C'erano due battaglioni di
Bersaglieri ciclisti i quali facevano servizio, come fecero poi servizio
sul Torre. La mia missione non ebbe motivo di esplicarsi. Spinsi
naturalmente le ricognizioni ordinatemi verso Dolegnano e San Giovanni di
Manzano. Rimasi nella posizione di Trevignano Udinese fino alla mattina
del 29, quando fummo chiamati dal Comando della Brigata, il quale ci
spiegò che avevamo l'ordine di portarsi verso Pozzuolo del Friuli dove si
sarebbe dovuto resistere ad oltranza per impedire alle colonne nemiche,
che si sapeva discendere da Udine verso Mortegliano e la strada
Napoleonica, di infiltrarsi. Partimmo verso la 1. Giunti a Sommardecchia,
avemmo un piccolo accenno di attacco di fanteria e di mitragliatrici.
Furono mandate innanzi pattuglie, e poscia si potè entrare a Pozzuolo dove
erano segnalate pattuglie nemiche. A Pozzuolo il comandante di brigata
assegnò al Reggimento NOVARA la parte ovest, ed al Reggimento GENOVA la
parte est del paese. Io avevo così tre sbocchi da guardare. Verso
Carpeneto, verso S.Maria di Sclaunicco e verso Mortegliano. Il Reggimento
GENOVA aveva altri tre sbocchi. Colà avemmo ordine di barricarci e
rimanemmo tutto il pomeriggio relativamente tranquilli. All'imbrunire
cominciarono a sentirsi delle fucilate nemiche, che nella notte andavano
aumentando. I nostri rispondevano e intervennero anche le mitragliatrici.
Nella notte si ebbe sentore, dalle esplorazioni che si mandavano fuori,
che la pressione nemica andava aumentando. Il mattino verso le 6 essendo
la pressione aumentata ancora, cominciò ad aversi anche qualche tiro di
artiglieria di piccolo calibro. I nostri squadroni mitraglieri e lancieri
che erano appiedati alle barricate, furono impegnati. Verso le 5 poichè la
pressione seguitava ad aumentare, il Comandante di Brigata orinò che uno
squadrone montasse a cavallo per cercare di alleggerire un poco questa
pressione che proveniva da Carpeneto. Furono fatte parecchie cariche molto
ben condotte, e si ebbe una mezz'ora di calma perchè le truppe giunte in
paese vennero sbaragliate. Lo squadrone ebbe allora l'ordine di tornare
alle barricate.
In questo frattempo era giunta una Brigata di fanteria col
Generale RAVELLI, Comandante della 7^ Divisione, ed io rammento che
egli mi disse: "Veda è stato costretto a venire il Comandante di Divisione
per portare avanti queste truppe, guardi che soldati passano!". Diffatti i
soldati passavano alla distanza di 3 o 4 passi l'uno dall'altro, stanchi,
accasciati. Attraverso il paese, essi dovevano andare ad occupare lo
sbocco nord-ovest, proseguendo poscia in direzione di Campoformido,
invece, appena usciti dal paese, tutta la Brigata si arrestò, e fu mandato
fuori qualche Battaglione, che rimase un quarto d'ora e venti minuti al di
là delle nostre difese e poi si ritirarono nei pressi del mio primo
squadrone. Tutta la Brigata si disperse nelle case e nei cortili e
riempì il paeses, mentre sulla linea non rimase che un paio di compagnie.
Vidi distintamente il Col. Brig. CARPI che correva con l'Aiutante di Campo
cercando di portare innanzi le compagnie perchè resistessero. Ricordo che
egli cercava, con uno scudiscio in mano, di portare quei soldati con la
forza; ma quelli lo guardavano con l'aria intontita di gente stanca, con
quell'aria intontita con la quale li avevo veduti passare prima. Io
pensavo che quei soldati avrebbero combattuto ben poco. In ogni modo, non
potendo rimanere colà, mi portai al centro del paese. Mi disse in seguito
il Comandante del I° Squadrone che il Col.CARPI deve avere sparato qualche
colpo di pistola contro gli sbandati; ma quelli presero tranquillamente le
loro revolverate nella pancia e non si mossero. Ciò per altro era proprio
da attribuire alla stanchezza e allo abbrutimento. Non so se quella
Brigata avesse mangiato o meno: certo era molto stanca perchè anche essa
doveva provenire o da Trevignano Udinese o dal Torre.
Più tardi la pressione nemica aumentò fortemente. Il
Reggimento Genova, frattanto, aveva avuto le sue barricate prese dal
nemico.
Uno Squadrone, pure del Reggimento Genova, che guarniva
l'uscita verso Lavariano, era montato a cavallo. Verso le 16.30 il mio I°
Squadrone aveva dovuto andare alla baionetta perchè non aveva più
cartucce. Esso, avendo ultimata la sua dotazione era rimasto sprovvisto di
munizionamento. Per altro io avevo trovato sotto il Municipio alcune casse
di cartucce che avevo fatto distribuire, e con le quali ero potuto
giungere fino alle 16.30. Terminate anche queste, il I° Squadrone si
decise di andare alla baionetta. Esso era ridotto a 70 uomini. Infatti vi
era stata dapprima una riduzione a 100 uomini, poscia, per la malaria
contratta a Isola Morosini, gli squadroni erano andati man mano
assottigliando. Per tutto il mese di settembre seguitai ogni mattina a
richiedere forze. Di più il medico disse che se non si cambiava aria, i
miei uomini avrebbero sempre peggiorato. Tuttavia non si credette di
mandarci via. Così i miei squadroni erano ridotti ad una media di 70
uomini ed il mio 2° Squadrone non aveva più di 30 35 uomini, pertanto a
Lestizza dovetti lasciare questo 2° Squadrone al completo col Capitano e
tutti gli Ufficiali, ai quali assegnai la direzione di tutte le
impedimenta. Una ventina di uomini, rimasti dal 2° Squadrone vennero da me
assegnati come scorta allo squadrone mitraglieri.
Il 1° Squadrone, andato alla baionetta, si comportò molto
brillantemente; ma dopo cinque minuti, si può dire, esso non esisteva più.
Infatti al primo momento il nemico rimase colpito nel vedere quel nucleo
andare alla baionetta contro forze superiori; ma poi lo squadrone
subito fu preso in mezzo e scomparve.
Io sapevo che il 5° Squadrone che guardava verso
Mortegliano, si trovava nelle stesse condizioni; non aveva più cartucce ed
era già andato due volte alla baionetta. Pensai che in quelle condizioni
l'unica cosa era montare a cavallo anzichè fare la fine del topo, tanto
più che sapevo che la falla verso Lavariano era aperta perchè lo Squadrone
del Reggimento Genova era munito di cavalli. Dato l'ordine di montare a
cavallo al 5° Squadrone, io con tutto lo stato Maggiore, mi posi a
guardare l'uscita verso Lavariano per non essere preso alle spalle.
Frattanto, essendo stati avvertiti che il nemico si avanzava attaccando
alla baionetta, uscimmo dalle barricate verso Mortegliano che erano
disposte a zig-zag, e trovammo un primo gruppo di nemici che travolgemmo
sotto le zampe dei cavalli. Però dal muro del cimitero, il nemico aprì una
doccia di mitragliatrici in grande stile. Saranno state dieci o quindici
mitragliatrici. Per fortuna il cimitero era un poco in rialzo, sicchè le
pallottole passavano opra la nostra testa. Passammo così per circa un
chilometro sotto la doccia delle mitragliatrici. Appena sentii che il
fuoco diminuiva diedi l'alt e feci di nuovo fronte a Pozzuolo.
Visto che lo Squadrone era quasi al completo, decisi di
ritornare a Pozzuolo del Friuli per provare a riattaccare le forze che
investivano il paese. Ma c'era da passare una quantità di fossi grandi e
piccoli che non era possibile saltare, e nei quali ci infangammo
profondamente. Avendo incontrato nuovamente delle mitragliatrici o della
fucileria, caricai queste mitragliatrici e questa fucileria, e dopo
diversi giri andai a finire sulla strada che da Pozzuolo mena a Lavariano.
Anche qui un gruppo di mitraglieri, da una tettoia di casa rustica, aprì
il fuoco contro di noi a dieci metri di distanza; ma i nostri furono molto
svelti, e le due mitragliatrici furono travolte ed i mitraglieri
sciabolati di santa ragione.
Intanto però veniva aperto il fuoco contro di noi, sia
dalla parte di Mortegliano, sia dalla parte di Pozzuolo. Con rapidità di
ragionamento compresi che la massa nemica, travasata oltre Pozzuolo, si
digeva verso Mortegliano. Pensai pertanto essere inutile che io mi recassi
nuovamente a Pozzuolo, e sapendo che il mio comando di Divisione trovavasi
a Lestizza, decisi di partire in testa per andare a raggiungerlo.
Frattanto da un soldato di fanteria avevo saputo che
Mortegliano era già in mano agli austriaci, e pertanto decisi di caricarli
alle spalle; e così potei sfondare gli austriaci che attaccavano il paese
e penetrarvi.
A Mortegliano c'erano dei nostri reggimenti, i quali, non
avendo compreso che noi eravamo italiani, ci accolsero con una scarica non
indifferente di pistole mitargliatrici, buttando giù trenta o quaranta
uomini. Mentre, con la sciabola sguainata, gridavo: "Italia! Italia!
Italia!" presi un ruzzolone e andai a finire con il cavallo per terra.
Intanto, dalla parte della strada verso Lestizza, dove
nostri difendevano il paese, si svolgeva un attacco austriaco. La nostra
massa aveva sfondato ed era uscita verso Lestizza, dirigendosi su questo
paese.
Rialzatomi appena da terra dopo la caduta di cui ho
parlato, mi trovai solo. In quella gli austriaci cominciarono ad
attaccare. Vidi a destra un gruppo di Ufficiali dei Bersaglieri, che
cominciarono a gridarmi: "Via dalla Strada! Via dalla Strada!" Chiesto che
cosa stesse avvenendo, mi risposero che dalla mattina si erano avuti in
continuazione dei leggeri attacchi, ma che in quel momento gli attacchi
andavano fortemente accentuandosi.
Un Colonnello dei Bersaglieri mi disse che non vi era
neppure la possibilità di pensare di poter uscire subito dal paese e che
pertanto mi avrebbe indicata la direzione dalla quale avrei potuto sperare
di uscire quando fosse stato più buio. Mi accostai allora ad una donna
alla quale chiesi per favore un bicchiere d'acqua. In quel momento
sopraggiunse un Tenente di Cavalleria, addetto con una sezione
mitragliatrici al battaglione bersaglieri il quale mi disse che il nemico
aveva sfondato. Si videro distintamente le masse nemiche che entravano
dirette, e senza neppure guardarci, mentre noi eravamo presso un portone,
proseguivano. Passata appena una compagnia di truppe alpine, sopraggiunse
un'altra massa nemica che cominciò a gettarsi sulle case, parte a destra e
parte a sinistra, nonostante che tre o quattro bersaglieri ed il mio
trombettiere sparassero. Il nemico sparò contro di noi una bomba a mano, e
noi fummo pertanto costretti a gettarci nel portone. Allora i nemici
penetrarono come una valanga e ci dichiararono prigionieri, nel mentre
gettavano una seconda bomba nel portone.
Io avevo ancora la pistola attaccata dietro la bandoliera,
e non feci in tempo a distaccarla, perchè fui subito dichiarato
prigioniero mentre discutevo col Ten. Boulè sul modo di sottrarci alla
cattura.
Seppi in seguito che in Mortegliano c'erano il 38° e il
240° Reggimento Fanteria, che erano per l'appunto quelli che mi avevavno
accolto con le pistole mitragliatrici. Uscendo sulla strada, una mezz'ora
dopo essere stato preso prigioniero, vidi una colonna immensa di
prigionieri: erano quei due reggimenti che erano stati catturati.
In seguito, durante la marcia, potei ricostruire il motivo
per il quale quei due reggimenti non avevano combattuto. Essi debbono
essere arrivati in paese verso le 14 o le 15 del giorno 30, e non avendo
trovato da mangiare, il Colonnello deve aver dato l'ordine di cercare
quello che c'era in paese. Allora i soldati si intrufolarono nelle case,
donde non furono potuti tirar fuori facilmente al momento del
combattimento. Essi ritenevano forse di essere largamente in zona nostra e
non supponevano di essere in zona di grande combattimento. S'erano quindi
posti con tutti i loro agi a fare la polenta o a preparare altri cibi
quando furono sorpresi dall'attacco iniziale nemico. Durante tutta la
giornata però, a quanto mi riferì il Colonnello dei Bersaglieri, gli
attacchi nemici erano stati di piccola quantità. Intanto il nemico aveva a
poco a poco accerchiato il paese, e verso le 18 aveva fatto l'attacco in
grande stile, lanciato il quale le nostre truppe non avevano fatto in
tempo a venire fuori dalle case per difendersi.
Fummo avviati per Pavia d'Udine, ad Ipplis, a Cormons e a
Gorizia, ma percorrendo dei vasti zig-zag. Noi che conoscevamo bene il
terreno, chiedevamo di fare un percorso diretto, ma ci veniva riposto: "
Nein! Nein!".
Da Mortegliano ad Udine non incontrai anima viva; c'era il
vuoto perfetto; e pensai che colà con la Divisione di Cavalleria montata a
cavallo ci sarebbe stato molto da lavorare. Così pure il vuoto completo
trovai fino a Cormons.
A Cormons trovai numerose batterie di artiglieria nemiche.
Colà un Capitano di Stato Maggiore austriaco, addetto ad
un Comando di Divisione, che parlava benissimo l'italiano e che
gentilmente ci dette qualche cosa da mangiare, mi disse: "Il vostro
CADORNA è diventato pazzo! Ritirarsi al Tagliamento? Noi calcolavamo di
mettere quattro settimane per arrivare a Cividale!"
Io non avevo nulla a dire, e sentii i suoi commenti senza
rispondere. Altra truppa la trovai poi a Gorizia, ove cominciò il vero
saturamento delle truppe, tanto vero che ci fecero aspettare per circa due
ore sulla strada, ove erano anche delle truppe tedesche.
Da Gorizia fui inviato a Lubiana, e lungo la strada, fui
fatto salire in automobile insieme coi comandanti del 38° e del 240°
Reggimento Fanteria. Da Lubiana fui mandato al campo di concentramento di
Mauthausen.
A Mauthausen ebbi occasione di osservare come gli
austriaci rispettassero moltissimo chi sapeva stare al suo posto, mentre
insolentivano contro chi non aveva un certo prestigio. Naturalmente la
truppa, che aveva fame e freddo, aveva motivo per non stare al suo posto,
e ad essa venivano fatti tutti i dispetti possibili.
Noi Ufficiali patimmo la fame per i primi due o tre mesi
cioè fino a quando non cominciarono ad arrivare i pacchi. Ma io non andavo
a domandare quello che capivo non mi si poteva dare. Ecco perchè sono
sempre stato fatto oggetto di rispetto. Così non mi sono mai
permesso di andare a fare delle chiacchere col comandante del campo,
perchè capivo che se c'era qualcheduno che avrebbe avuto interesse a
sapere qualche cosa dell'altro, questi era lui e non io. Mi appartai
quindi per sistema; tanto che il comandante del campo, presentandomi un
giorno a S.E. VALFRE' DI BONZO (*), gli disse: "Questo è un Colonnello che
non si vede mai". E questo è il più bello elogio che io potessi aspettarmi
come Ufficiale prigioniero.
Avendo spesso occasione occasione di uscire dai reticolati
per recarmi alla visita medica per male ai denti, guardavo dall'alto in
basso le sentinelle austriache, le quali così mi salutavano. Spesso la
mattina vedevo dei lunghi convogli di bare che venivano portate al
Cimitero accompagnate dalla musica. Vedevo anche girare in distribuzione
delle scodellette di acqua e rape. Si capiva che le truppe morivano di
inedia; mentre noi ufficiali, per quanto non fossimo in villeggiatura, e
dovessimo religiosamente tener da conto il pezzettino di pane la mattina
per la sera, avevamo qualche cosa da mangiare.
Al campo arrivavano i giornali austriaci, nonchè il
"Lavoratore" giornale socialista di Trieste. Tra quello che potevo leggere
io direttamente e quello che mi traducevano gli altri, ero riuscito a
capire che la popolazione austriaca soffriva la fame, e soffrendo
strillava sul "Lavoratore" insolenze di tutti i toni. Però anche un anno
prima strillavano allo stesso modo, così mi dissero i prigionieri che
erano al campo prima di me; onde io compresi che, se gli strilli erano gli
stessi, il malanno era peggiorato di un anno. Vi furono anche delle
agitazioni e degli scioperi generali "ad oltranza" ma bastava tirar fuori
un paio di mitargliatrici, e lo sciopero non durava nemmeno ventiquattro
ore. A Trieste avvenne lo stesso. C'era una grande disciplina interna; e
chi da altra parte non aveva questa disciplina interna, aveva paura delle
mitragliatrici.
Queste sono le mie impressioni da prigioniero."
PRESIDENTE: " Voglia S.V. riferire quanto Le consta circa
la condotta dei nostri soldati."
CAMPARI: " A questo riguardo ho dovuto purtroppo
constatatare come, cominciando dagli Ufficiali, essa era tutt'altro che
dignitosa. In treno dovetti ordinare ad un Capitano di recarsi in uno
scompartimento di subalterni i quali si permettevano addiritura il lusso
di cantare delle canzonette. Purtroppo nella massa degli Ufficiali c'era
uno "stock" di subalterni, specialmente di aspiranti, di Ufficiali fatti a
"macchinetta" che non avevano lo spirito militare nè civile che si
conveniva alla dignità del loro grado.
Così pure le truppe cantavano per la gioia di non dover
più combattere. L'idea che io mi son formato a tale riguardo è questa: che
i soldati, stanchi dallo stillicidio della vita di trincea, ove vedevano
in continuazione morti, feriti, ed ammalati, vedessero la prigionia come
unica liberazione e che pertanto si siano lasciati prendere per la gioia
di non combattere più.
Nel campo, dei discorsi tra Ufficilai prigionieri, si
cercava naturalmente di formarsi una idea del modo come fosse potuto
avvenire un così immane disastro. Molti Ufficiali di artiglieria, per la
loro particolare competenza, attribuivano gran parte della causa di esse
allo schieramento della artiglieria, fatto troppo arditamente in linea e
troppo poco in profondità."
PRESIDENTE: " Può dire qualche cosa riguardo i Comandi? "
CAMPARI: " Non ho mai avuto occasione di sentire critiche
all'azione dei Comandi "
PRESIDENTE: " Che cosa si diceva circa il governo degli
uomini? "
CAMPARI: " Si diceva che vari Deputati avevano segnalato
al Governo che tra le truppe circolava un certo malcontento; ma che
nessuno aveva voluto ascoltare tali avvertimenti. Si diceva che si andava
vieppiù infiltrando il desiderio di finire una buona volta la vita di
trincea e non combattere più.
C'era per di più un altro fatto: che quando qualche
comandante di Reggimento, che sapeva che lo spirito delle sue truppe non
era troppo buono, veniva interrogato in proposito, rispondeva che esso era
ottimo; perchè, se non avesse risposto così, sarebbe stato mandato a
spasso. Nomi non potrei farne: ma queste erano le chiacchere che si
ascoltavano girando per il campo. "
PRESIDENTE: " Che cosa può dire delle sue truppe? "
CAMPARI: " Non posso dire delle mie truppe se non quello
che dissi il giorno successivo al combattimento: " Auguro a tutta l'Italia
di avere Soldati come i miei " .
I miei soldati si facevano in quattro: correvano a
destra e sinistra, sparando, senza che neppure un caporale dovesse darne
loro l'ordine. Non parliamo poi di quando erano a cavallo: nessuno avrebbe
saputo trattenerli. Sia naturale eccitamento che si prova a cavallo, sia
la soddisfazione effettiva che provano nell'andare alla carica, essi si
comportarono così brillantemente che, ripeto, avrei augurato che tutta
l'Italia avesse avuto soldati così magnifici. "
PRESIDENTE: " In quali condizioni si trovavano in quei
giorni i cavalli? "
CAMPARI: " In condizioni che in me destavano meraviglia.
Essi mangiavano sempre, come e dove potevano. Dopo tanti anni di vita
militare e di campo, non c'era più bisogno di raccomandare ai soldati di
aver cura dei propri cavalli e di farli mangiare e bere abbondantemente.
In quei giorni, avendo i cavalli mangiato relativamente bene, erano in
perfette condizioni ed avevano una grande resistenza. Infatti vi furono
dei cavalli che andarono alla carica pur avendo sei o sette pallottole
nella pancia. Se il cavallo non è colpito in organi vitali, esso offre
anche ferito una grande reistenza.
Quanto ai soldati, anche quando non era più possibile fare
il rancio, essi poterono sempre mangiare con quello che era possibile
requisire."
PRESIDENTE: " La Commissione ringrazia la S.V. "
(il teste è licenziato)
(*) Teodoro Valfrè di Bonzo Nunzio Pontificio in Austria
dal 13 settembre 1916 |
Giorgio Emo-Capodilista Generale di divisione di
Cavalleria - La Seconda Brigata di Cavalleria "Genova" e "Novara" a Pozzuolo del Friuli , 29 e 30 ottobre 1917 Carso 1916 - Livenza 1918
di - Tip. del Messaggiero Padova 1931 |
Zona di guerra 10 Novembre 1917
Al comando della I^ Divisione di Cavalleria
Oggetto: Relazione sui combattimenti
delle giornate del 29 e 30 ottobre 1917.
La II brigata di cavalleria, che la sera del 28 ottobre si era raccolta in
Trivignano Udinese, verso le ore 10 del giorno 29, riceve l'ordine di portarsi a
Pozzuolo del Friuli.
La brigata, reggimento "Genova" (Colonnello
Francesco Bellotti) in testa,
seguito dal reggimento lancieri di "Novara" (Colonnello Carlo Campari),
inizia nel pomeriggio la marcia, e giunta verso le 16.30 nei pressi di Sammardenchia viene informata che pattuglie austriache sono state segnalate nei
pressi del paese...........
Alla II brigata di cavalleria è assegnato di tenere l'occupazione di
Pozzuolo e di informare sulla consistenza delle truppe nemiche nella zona canale
di Ledra - Udine - fiume Torre.......
I due reggimenti hanno intanto rafforzata la difesa del paese con tutti gli
appiedati disponibili, lasciando i cavalli nei cortili......verso le 12 la
pressione del nemico va accentuandosi dalla parte di Terrenzano; un nuovo
attacco, fatto con numerose mitragliatrici, viene respinto alla baionetta, e
l'avversario scompare rapidamente cercando di dilagare in direzione est-sud,
dimostrando la sua intenzione di accerchiare Pozzuolo.
Ordino al comandante del reggimento lancieri di "Novara" di far
uscire uno squadrone a cavallo per caricare, e tale compito è brillantemente
assolto dal 4° squadrone (Capitano Sezanne), il quale mette in fuga dei nuclei
avversari, che ripiegano su Terrenzano falciati dalle nostre
mitragliatrici......
alle 16.30 il combattimento è intensificato al massimo. Il nemico sfondato
lo sbarramento, dalla parte di Terenzano, comincia a penetrare in paese. Le
nostre perdite si fanno sempre più gravi.......
Al 4° squadrone di "Novara" affido nuovamente il compito di
spazzare il nemico, che si era infiltrato in una delle strade del paese, e la
carica, energicamente eseguita, serve ad impressionare l'avversario,
trattenendolo incerto, mentre permette allo squadrone mitraglieri di
"Genova" di disimpegnare le sue armi.
Contemporaneamente all'attacco dalla parte di Terenzano, il nemico riesce a
sfondare gli sbarramenti dalla parte di Carpeneto, difesi strenauamente dal I°
squadrone e dallo squadrone mitraglieri dei lancieri di "Novara".
Alle 17.30 la situazione è agli estremi. L'accerchiamento del paese è
avvenuto. Si combatte con indomito valore, sulla piazza e nelle strade, mentre
dalle finestre di alcune case mitragliatrici nemiche, che hanno potuto
infiltrarsi, mandano violentissime raffiche di fuoco, che colpiscono molti
dei nostri, fra i quali mortalmente il maggiore Ghittoni ed i tenenti
Bianchini, Vernarecci e Botta di "Genova" Cavalleria, dei quali ho
ammirato l'eroico contegno.
In tale situazione,
dopo 8 ore di continuo combattimento , e quando ogni ulteriore resistenza
sarebbe stata vana, do l'ordine ai reggimenti di rimontare a cavallo, e di
ripiegare su S.Maria di Sclaunicco, aprendosi un varco in qualunque modo ed a
qualunque costo.
Il
ripiegamento avviene in circostanze estremamente difficili, perchè taluni
reparti si sono trovati nell'impossibilità di uscire con i cavalli dai cortili.
Reparti del reggimento "Novara", usciti da un altro sbocco, appena fuori dal
paese, sono fatti bersaglio da fuoco di mitragliatrici e di fucileria, e sono
costretti a ripiegare in direzione di Mortegliano caricando ripetutamente
l'avversario e subendo fortissime perdite.
Io stesso, in testa a reparti dei due reggimenti, caricando il nemico, che
ostruiva con mitragliatrici l'uscita del paese, raggiungevo S.Maria di
Sclaunicco alle 18.30, dove , poco dopo, si riunivano i resti della brigata.
Manca una parte del gruppo dei lancieri di "Novara", che da Mortegliano non è
riuscito a raggiungere la località di riunione, e, fra i mancanti vi è l'intero
S.M. del reggimento con il colonnello Campari ed i due ufficiali
superiori, maggiore Sebellin e maggiore Starita.........
Il colonnello Campari, fatto prigioniero a Mortegliano alla sera del 30
di ottobre, quando giunse a Cormons fu dal nemico riconosciuto nella qualità di
comandante del reggimento "Novara". Fu allora avvicinato da un aiutante di campo
di un generale, che gli disse in buon italiano:
"Voi, cavalleria, avete combattuto
molto bene, ma inutilmente; mi compiaccio con Lei, colonnello. Noi non si
immaginava mai la ritirata vostra al Tagliamento, e si calcolava di impiegare
quattro settimane per arrivare a Cividale." ( ** )
**
) Commissione di Interrogatorio dei prigionieri di guerra in Monza
La
relazione del colonnello Campari Cav. Carlo, Comandante dei lancieri di "Novara"
presentata il 5 aprile 1918 alla Commissione di interrogatorio dei prigionieri
di guerra in Monza e rispondente al questionario della Commissione stessa
presieduta da S.E. il Tenente Generale Zuccari, trovasi nell'Archivio del
Ministero della Guerra ed una copia, pure autografa, nel Museo del reggimento
"Novara".
Una
copia autografa trovasi pure nell'archivio di famiglia.
|
|
Lapide a ricordo del
Colonnello Carlo Campari posta sotto la loggia del vecchio Municipio di
Pozzuolo del Friuli |
|